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Stop a cibi e carni gonfi di OGM

La strana Europa tra austerità sociale e liberismo agricolo. Stop a cibi e carni gonfi di OGM.

La Comunità Europea è impegnata a modificare il Regolamento CE 1829-2003 riguardante l'uso degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati che dovrebbe consentire agli Stati membri di limitare o vietarne l'uso.

L'Italia, dal Ministero delle Politiche Agricole sino alle Regioni, sta lavorando da mesi per definire la posizione nazionale nell'ambito del dibattito europeo.

Il nostro Paese si sta contrastinguendo per il ruolo determinato nel tutelare le prerogative nazionali del settore agricolo e zootecnico ma le logiche ed i poteri che muovono in questi ambiti non sempre vanno nella direzione di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori e delle produzioni tipiche dei singoli Paesi.

L'Italia, in quanto rappresentante ed esportatrice di marchi alimentari prestigiosi, ogni anno è vittima del fenomeno della contraffazione e della falsificazione alimentare con grave danno per l'economia ed il lavoro del settore.

Tutelare quei marchi significa tutelare la qualità delle materie prime che li compongono, sia esse di origine vegetale che animale.

E' risaputo infatti che i rischi alimentari s'insinuano non solo nei prodotti dell'agricoltura ma anche nelle carni e nei suoi derivati.

Proprio per questo è necessario vigilare affinchè anche nel campo dell'alimentazione animale non giungano rischi diretti o indiretti per la salute dei consumatori (vedi fenomeno mucca pazza).

L'Italia, un tempo autosufficiente, è da anni deficitaria delle materie prime a base delle produzioni mangimistiche e compra dall'estero il 50% del suo fabbisogno annuo.

A seguito del divieto di utilizzo di proteine animali per alimentazione animale, la soia costituisce la base proteica principale e l'Italia importa dall'estero circa l'85% - 95% del suo fabbisogno.

Per effetto delle trasformazioni sociali, dell'imboschimento o della sottrazione di terreno agricolo dall'urbanizzazione selvaggia dei territori, nel nostro Paese la superficie destinata alla produzione di mais si è ridotta a meno di 1 milione di ettari.

Ciò ha comportato per il 2014 l'importazione del 60% di mais ad uso animale per un valore di circa 850 milioni di euro.

Il mais che si produce in Italia è destinato in parte ad usi no-food per la produzione di energia a biomassa ed in parte esposto a rischi igienico-sanitari che ne riducono l'utilizzo alimentare.

Tra cereali (mais, orzo, grano tenero, sorgo e derivati), semi oleosi (farine estratte da soia, girasole ecc.) e loro derivati nel 2014 sono stati importati 19 milioni di tonnellate di materie prime per mangimi animali da Sud America, Argentina, Brasile.

In questi Paesi è molto diffuso l'impiego di OGM.

Nel 2014 a livello mondiale sono stati coltivati con OGM 181,5 milioni di ettari (+3,4% sul 2013 pari a + 6 milioni di ettari). L'82% della superficie coltivata a soia prevede l'utilizzo di semente OGM, il 30%  quella per il mais geneticamente modificato.

Nel settore zootecnico il costo di materie prime non transgeniche ha un costo maggiore del 15%-20% dell'analogo prodotto OGM.

Se, come si auspica,  l'Italia opterà per il divieto dell'utilizzo degli alimenti OGM per l'alimentazione animale, i maggiori costi che i produttori dovranno fronteggiare per l'approvvigionamento di materie prime non trattate si scaricheranno a catena  mettendo in crisi l'intera filiera, la qualità dei prodotti tipici nazionali e la sicurezza dei consumatori.

E' evidente l'importanza che il Governo italiano mantenga la fermezza della posizione bloccando la liberalizzazione dell'uso indiscriminato di OGM in campo zootecnico e agricolo e al tempo stesso, salvaguardi l'intero settore dai rischi della perdita di competitività e dai contraccolpi sui consumatori in termini di maggiori costi dei prodotti e di insidie sulla salute.

In questo quadro Governo e Regioni devono approntare misure incentivanti all'innalzamento della superficie destinata alla produzione di materie prime ad uso animale che rendano il Paese progressivamente autosufficiente.

A maggior ragione, la soia, che è coltura da rinnovo, potrebbe essere inserita in programmi di rotazione colturale e nell'ambito di programmi di agricoltura sostenibile (Vedi PAC 2014-2020) liberando il Paese dalla morsa della dipendenza di Paesi che ricorrono all'uso indiscriminato di OGM.

La Calabria, per il suo clima mediterraneo e per l'opzione espressa dalla G.R. di guardare all'uso sostenibile della superficie regionale inutilizzata da destinare a favore di una nuova imprenditoria agricola, deve individuare una strategia propria in tale direzione che metta al sicuro gli interessi di comunità, economie, produttori e consumatori.

12 Ottobre 2015






 
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